L’intelligenza artificiale sostituirà l’uomo?
Umilmente… non lo so. Questo, ovviamente, se attribuiamo al verbo “sostituirà” la sua accezione più catastrofica, cioè l’estinzione del genere umano. Ma, lasciando questo tipo di interpretazione a scrittori come Isaac Asimov (Io, robot – tanto per citarne uno) o i fratelli Wachowski (Matrix), personalmente ho già da tempo sostituito quel verbo con il più lungimirante e positivo “aiuterà”.
L’intelligenza artificiale aiuterà l’uomo? Senza ombra di dubbio!
Anche perché lo sta già facendo da tempo senza che i più se ne siano mai resi conto o ne fossero a conoscenza.
Giusto qualche cenno storico. Queste due parole, così come l’acronimo IA (o AI per gli anglofoni), sono entrati nel nostro “dizionario quotidiano” da quando qualcuno, di nome Open AI (l’ennesimo investimento di successo di Elon Musk), ha deciso di democratizzarne l’uso. Oggi siamo in pochi a non aver ancora fatto una domanda al famoso ChatGPT con la semplicità di accesso data da una pagina web aperta su un qualsiasi browser internet, che sia dallo smartphone, dal PC o dalla Playstation. Ma, in realtà, quello che oggi qualcuno ha deciso di rendere “Open” – con chiari secondi fini commerciali – era già da anni teorizzato, studiato, sviluppato ed utilizzato dalla comunità scientifica internazionale, e varie aziende specializzate, per scopi accademici, di ricerca o di business in settori e applicazioni molto specifici. L’idea alla base dell’IA risale agli anni ’40, quando qualcuno cominciò a parlare di “neurone artificiale” ed iniziò a teorizzare modelli matematici che potessero “emulare” le complesse reti neurali del nostro cervello. Quindi possiamo affermare che l’uomo sta provando a “clonare” le sue capacità mentali da circa 80 anni!
Perché? Abbiamo così voglia di farci “sostituire”? Nuovamente, “No!”. Abbiamo voglia di farci aiutare da chi è più veloce di noi a fare 2+2. Nello stesso tempo (diciamo 1 secondo) in cui voi avete letto questa semplice addizione ed il vostro cervello, inconsciamente, ha pensato a “4”, il vostro smartphone sarebbe riuscito a compiere miliardi di operazioni matematiche similari (addizioni semplici). L’intelligenza artificiale non è altro che matematica, numeri, operazioni più o meno similari per sommare, sottrarre, moltiplicare e dividere numeri. Tanti numeri! Ed è proprio qui il punto. Questi modelli, incluso il famoso ChatGPT, per restituire risultati affidabili, dei quali, in un certo qual modo, possiamo “fidarci”, hanno bisogno di tanti (ma tanti!) dati e tanta energia per elaborare questi ultimi. E sul discorso energia si potrebbe aprire un’ulteriore discussione, anche legata alla sostenibilità di questi sistemi, ma, magari, approfondiremo in un’altra puntata.
Se i Giuliacci, padre e figlio, volessero farsi “aiutare” dall’intelligenza artificiale nella definizione delle previsioni meteo (cosa che per altro è allo studio in Cina) dovrebbero “dare in pasto” al loro modello matematico decenni di dati meteorologici, contestualizzati geograficamente, “etichettati” per stagione, conditi da dati supplementari sui cicli “El Niño” e “La Niña”, delle maree, del sole, eccetera, eccetera, eccetera. Questo, ovviamente, se non vogliono rischiare di farci annullare le nostre ferie estive per dei presunti temporali ferragostani predetti dal loro sistema “alimentato”, per esempio, con i soli dati dell’ultima stagione invernale di appena 3 mesi. Rischierebbero, invece, di “perdere il posto di lavoro” se il loro modello venisse “addestrato” su 40 o 50 anni di dati meteorologici, una quantità di dati abnorme (big-data) nei quali i sistemi di intelligenza artificiale riescono ad identificare delle ripetitività, degli “eventi”, pattern (per usare un termine tecnico). Più è alto il numero di “combinazioni” che il sistema (IA) “ritrova” ripetutamente nei dati, più aumenta l’attendibilità della sua risposta finale ad un problema.
Da tutto questo è possibile intuire due aspetti fondamentali: l’”intelligenza artificiale” non è altro che una fotografia della nostra realtà, modelli che “ragionano” su quella che è stata la nostra storia fino ad oggi (che siano il meteo, i social, i sistemi di videosorveglianza pubblica o la storia di un reparto produttivo di un’azienda), un numero spaventosamente consistente di dati provenienti da noi, dalle nostre attività, dai sensori di cui oramai siamo circondati e inondati. Con tutti i pregi, difetti ed imperfezioni (!) della nostra storia!
Quello che noi dobbiamo cogliere e sfruttare di questa nuova opportunità è dunque l’aspetto più tecnologico, legato alla possibilità di elaborare una consistente quantità di dati in tempi inimmaginabili per il nostro cervello, con una capacità di correlare “eventi” e capirne le interazioni che noi faremmo molta fatica a fare (per usare un eufemismo). Utilizzare i risultati di questi modelli, le “risposte” alle nostre “domane” (problemi), è il vero vantaggio nel miglioramento dei nostri processi, della nostra quotidianità, del nostro stile di vita.
Quando il vostro iPhone identifica il volto della persona alla quale state facendo una foto, ve lo evidenzia con un quadrato e mantiene la messa a fuoco costante su quel volto, lì c’è un sistema di IA che sta semplificando, in un certo qual modo, la vostra vita, sta facendo qualcosa per voi, ma non vi sta “sostituendo” e non è stato lui a decidere di scattare quella foto.
L’intelligenza artificiale, dunque, vive grazie a noi, e solo noi possiamo decidere quanto ci dovrà “sostituire” o “migliorare”. Senza di noi, l’IA non esisterebbe!